Nel caso specifico la società, con stabilimenti a ridosso di nuclei edilizi ad alta concentrazione abitativa, e svolgente attività di lavorazione di taglio, previo lavaggio, di forme di formaggio per il confezionamento e/o la produzione di grattugiato, aveva realizzato un evaporatore per trattare ed ottenere un'acqua di produzione con basse concentrazioni di inquinanti da poter scaricare in fognatura e fanghi da smaltire separatamente come rifiuti.
L'Agenzia delle Entrate in merito ha effettuato solamente rilievi inerenti le valutazioni di convenienza relativa all'investimento, contestando in particolare la differenza tra la percentuale riportata nella scheda prodotta dalla società sui costi di smaltimento con impianto, e l'indice di rilevanza ambientale certificato nella relazione tecnica per motivare il mancato riconoscimento dell'agevolazione in esame.
Per i Giudici "La stessa Agenzia delle Entrate, stante la laconicità della legge sul punto, nella risoluzione n. 226/E/2002 emanata dietro interpello, ha dovuto richiamare, per la nozione di approccio incrementale, la disciplina comunitaria degli aiuti di stato per la tutela dell'ambiente... Se da un lato quel concetto è in linea teorica intellegibile, quantificare concretamente i costi d'investimento supplementare basato su criteri oggettivi certi, risulta alquanto fumoso e indeterminato, specie ove la stessa Risoluzione precisa che "occorre rettificare il costo dell'investimento con riferimento ai vantaggi economici ottenuti in conseguenza dell'investimento ambientale realizzato, valutati in termini di aumento della capacità produttiva, di risparmi di spese e di produzioni accessorie aggiuntive", senza indicare tra l'altro prescrizioni tassative. Tant'è che la Agenzia delle entrate suggerisce l'opportunità di ricorrere al corredo di una certificazione, rilasciata all'uopo da soggetti abilitati, sulle caratteristiche tecniche dei beni oggetto di investimento in termini di riduzione dell'impatto ambientale e conseguimento di futuri risparmi di spesa. L'Ufficio nella premessa dell'atto impugnato, richiama la Risoluzione, ma non potendo addebitare alla società alcuna omissione soggettiva/oggettiva a termini di legge, né la mancata osservanza della prassi amministrativa, - peraltro seguita attraverso la Relazione tecnica presentata dalla ricorrente - per motivare la non applicazione dell'agevolazione, "ripiega" sulla mancata e dettagliata indicazione dei calcoli sui vantaggi in termini di "futuri risparmi di spesa". La legge n. 388/2000 tuttavia, non condiziona il beneficio fiscale all'incombenza di indicare specificamente i vantaggi in termini di risparmi ...
L'irragionevolezza di tale motivo non solo è dimostrata dalla lettera della legge, che tra l'altro nulla dispone in merito, ma, salvo che non si voglia considerare l'art. 6, dal comma 13 al comma 19, di fatto inapplicabile per l'inesistenza del regolamento attuativo, risulta incoerente con la "ratio" delle disposizioni legislative che nello spirito di favorire gli investimenti ambientali, a beneficio di tutta la collettività, hanno previsto tale agevolazione. Nulla può quindi essere eccepito se l’impresa, in via meramente prudenziale, ha elaborato il calcolo limitando il proprio beneficio rettificato il sovraccosto al netto dei profitti operativi. Del resto, proprio perché la rettifica con i vantaggi economici è inapplicabile o comunque estremamente difficile, la stessa UE è intervenuta con il Reg. CE 800/2008 che all’art 23 dice che “i costi ammissibili vengono calcolati come previsto all'articolo 18, paragrafi 6 e 7 e senza prendere in considerazione i vantaggi e i costi operativi”.
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